Benvenuto a Erdogan, prottetore delle libertà e dello stato di diritto!

© gianfranco Uber – Il turco in Italia

Lunedì 5 febbraio, Il presidente Turco Erdogan è in visita ufficiale a Roma, per vedere papa Francesco, il presidente Mattarella, il presidente del Consiglio Gentiloni e sopratutto  una delegazione di uomini d’affare italiani. Con lui una scorta di 54 agenti, armati, un caro armato per spostarsi a Roma, quando l’Italia ha mobilitato 3.500 uomini per protteggerlo. Misure eccezionali, anche difficilmente comprensibili per ricevere un dittatore che mentiene il suo paese in stato di urgenza e ne tira pretesto per imprigionnare i suoi opponenti politici, creare milizie private, riformare lo stato, distruggendo lo Stato di diritto per controllare il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Come lo scrive Can Dündan nella Repubblica del 5 febbraio (p.23) “il presidente Erdogan va verso l’unicità del leader, verso la ducizzazione“.


Una deriva che l’Ue (la Turchia non solo ha un statuto di paese associatodal 1963, ma anche di paese in negoziazione di adesione dal 1999), la Nato (la Turchia è un membro dall’inizio) sembrano incapace di impedire. Certo, come lo diceva Antonio Tajani (Presidente del Parlamento europeo) – pensiero condiviso con molti altri leader europei ha dichiarato durante un dibattito sulla Turchia che: “l’Unione europea non intende in alcun modo chiudere la porta al popolo turco, che rimane nostro amico”. Allo stesso tempo non si può guardare altrove quando gli eventi prendono una direzione in disaccordo con i principi della Costruzione europea. “La libertà di stampa, la libertà di espressione, sono diritti fondamentali per chiunque voglia aderire all’Unione europea e la pena di morte, analogamente, è una linea rossa invalicabile“. Tuttavia, questa linea rossa Erdogan l’ha superata. Dal 15 luglio 2016 (data del tentato colpo di stato), 50.000 persone sono state arrestate, oltre 100.000 rimosse dal proprio incarico (tra cui molti militari, giudici, insegnanti, funzionari). I due presidenti, dieci parlamentari e decine di sindaci appartenenti al secondo partito di opposizione sono tut’ora in prigione.

Molti giornali sono stati chiusi  e 150 giornalisti mandati in carcere. Nel dicembre 2017, nella stessa settimana 70 iornalisti sono stati giudicati, accusati di sopportare delle org            anizzazioni terroriste, solo perché si “permettono” di criticare la politica del governo. La Turchia è al 155 esimo posto su 180 nell’indice mondiale 2017 della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere (Per maggiore informazione consultare il sito di Reporter Without Borders: https://rsf.org/en/rsf_search?key=Turkey). Dopo l’esperienza di Erdogan con giornalisti che, durante la sua visita a Parigi all’inizio di gennaio 2018, hanno posto domande che non gli piacevano, il dittatore turco ha rifiutato di tenere una conferenza stampa durante il suo soggiorno a Roma.


 

Certo, il commercio tra Turchia e Italia rappresenta 17,8 miliardi di $, il commercio Ue-Turchia, rappresenta 4 % delle esportazioni totale dell’Ue, con un surplus a favore dell’Ue nel 2016 di € 11 miliardi. La Tutrchia è il quarto partner dell’ue per il commercio dei beni, allo stesso livello della Russia:

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Eurostat, principali partners nell’export di beni 2008-2016 in € miliardi

Ovviamente, pesa anche nella bilancia geopolitica dell’Europa, il problema dell’immigrazione e l’accordo con la Turchia di ritenere sul suo territorio i migranti che attraversano le sue frontiere. Accordo che Erdogan minaccia di non rispettare, lamentandosi del trattamento ricevuto dall’Ue.


E vero che, sia il presidente francese Macron “È chiaro che gli sviluppi e le scelte della Turchia non consentono alcun progresso del processo (di adesione) impegnato“, sia la cancelliere tedesca Merkel: “la discussione che abbiamo avuto (con Erdogan durante il G20 a settembre 2017) ha mostrato che avevamo profonde differenze“, o il presidente della Commissione Juncker: “La Turchia si sta allontanando dall’Europa a passi di gigante“, non esitano a parlare un linguaggio chiaro e deciso insolito nella diplomazia, come a criticare l’operazione (ipocritamente chiamati “ramoscello d’olivo“) in Siria, nella regione di Afrine contro i curdi – alleati occidentali nella lotta contro Daesh – dal 20 gennaio 2018. Tuttavia, sembra che nella pratica gli affari continuino …

Autore

Economista e storico, direttore del centro LIBREPRESSION, Fondazione Giuseppe di Vagno

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