Oltre il male e l’inumano

27 gennaio – giorno della memoria.

Testimonianza di Simone Veil

Sessant’anni dopo, Simone Veil davanti all’entrata del campo d’Auschwitz-Birkenau in POLONIA

Simone Veil fu deportata a 16 anni con la sua famiglia nel 1944. Fu trasferita in diversi campi, tra cui Auschwitz e Bergen-Belsen. Lei e le sue due sorelle sono le uniche sopravvissute. Quando è tornata dai campi, ha studiato alla Facoltà di Giurisprudenza e all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi ed è diventata magistrato. Tra le sue lotte c’è la difesa delle donne e degli uomini algerini imprigionati, minacciati di morte durante la guerra d’indipendenza dell’Algeria, poi il suo sostegno alla rivolta del maggio 1968. Sarà: presidente del Consiglio della Magistratura francese, ministro della sanità sotto la presidenza di Valery Giscard d’Estaing (1974-1979, ottenne, tra le altre cose, la liberalizzazione dell’aborto), poi di nuovo sotto il presidente Mitterrand (1993-1995), la prima donna presidente del Parlamento europeo (1979- 1982), poi membro del Consiglio Costituzionale francese (1008_2007). Dal 2001 al 2007, ha presieduto la “Fondazione per la memoria dell’Olocausto“. È morta il 30 giugno 2017 all’età di 89 anni.
Una grandissima persona, la cui testimonianza è indispensabile.

A differenza di Hannah Arendt, Simone Veil non pensava che “le persone sono pronte a fare qualsiasi cosa” e diceva con emozione che “c’era molto più fraternità tra deportati nei campi di quanto si diceva “e che anche in condizioni così difficili: “le persone sono rimaste comunque degli esseri umani“.
Tuttavia, nel rispondere alla domanda di un giornalista “Era una fabbrica uccidere Auschvitz?”, specificherà:”Sì, era una fabbrica da uccidere. Era una fabbrica per umiliare, per disumanizzare. Ciò che rende unico Auschwitz è questo sterminio scientifico, organizzato, pianificato con treni, ecc. (…) Stavano cercando di assicurarsi che non fossimo più esseri umani … Vivevamo fuori dal tempo, fuori dal mondo, fuori dalla vita “.

Ecco perché, secondo Simone Veil, è importante non dimenticare (estratto di un intervista al Nouvel Observateur, nel numero del 17 aprile 1987):
Non è una questione di oblio. Non possiamo dimenticare. È il fatto che le persone sono trasformate. La loro stessa personalità appare diversa. Le SS erano nella pelle dei personaggi, con le uniformi, la frusta in mano e la sentenza di morte in bocca. Per non parlare dei loro cani. Li abbiamo osservati da lontano. Quando si avvicinavano, la maggior parte delle volte, avevamo le spalle piegate al lavoro. Erano molto diversi dalle persone (arrestate ben dopo la fine della guerra) che oggi sembrano più o meno pietose – beh, pietose, nel senso che potrebbero sembrare un po’ ‘squallide e invecchiate – in ogni caso, persone che sono civili e che sembrano normali … La maggior parte di questi assassini doveva essere una volta fuori del campo, dei meravigliosi padri di famiglia. (…)
Ero a Birkenau-Auschwitz, in un isolato non lontano dai forni di cremazione. Le persone che scendevano dai carri stavano quasi andando direttamente negli edifici dove, come tutti sapevamo, c’erano camere a gas. Le SS stesse minacciavano di condurci lì, scherzando. Tutti ci entravano. Nessuno è uscito …

Ecco un altra sua testimonianza nel gennaio 2005 (durante una trasmissione televisiva di Franz-Olivier Giesbert per France3):
https://www.youtube.com/watch?v=IcvzpdkhmcQ

Altra indispensabile testimonianza straordinaria da leggere:

Art Spiegelman: “Maus“, Premio Pulitzer 1992
Capolavoro di Graphic Novel in cui Art Spiegelman racconta la storia di suo padre, un polacco Ebreo, dal 1930al 1944, e la sua testimonianza sui campi Madjanek e Auschwitz dove fu deportato durante lo stesso periodo di Simone Veil.
– La prima parte dell’opera – che racconta la storia prima della deportazione e il deterioramento della vita degli ebrei in Polonia – risale al 1986.
– La seconda, pubblicata nel 1991, è dedicata alla vita nei campi di concentramento e ha guadagnato il premio Pulitzer a Spiegelman.


COMMENTO:

In un periodo in cui i popoli sembrano perdere la memoria, dove rinascono il neo-fascismo, il populismo xenofobo, la violenza della paura dell’altro, del diverso, dove sembra che fosse così facile di ritornare a l’orrore, oltre il male, è più che indispensabile non dimenticare quello che era l’odio estremo che portò all’Olocausto e quello che esso significa. Certamente, Simone Veil ha ragione nel dire che gli altri orrori che costellano regolarmente nella storia dell’umanità sono difficilmente paragonabili all’Olocausto.
Tuttavia, mi sembra deplorevole che questo giorno di memoria – senza sminuire l’importanza di ricordare la shoah e il suo significato – non sia anche quello in cui tutte le istituzioni, i media, le scuole, ricordano anche quanto sia facile per un popolo diventare complici e talvolta protagonisti di tali atti che vanno oltre il male, oltre una perdita di coscienza dell’umanità. Per ricordare che nessuna sofferenza, nessuna persecuzione, nessuna ideologia, nessuna religione, nessun interesse economico, può giustificare che uomini e donne martirizzino, uccidano, violentano, torturino, eliminino altri uomini e altre donne.

Copyright Nicolas Vadot

Autore

Economista e storico, direttore del centro LIBREPRESSION, Fondazione Giuseppe di Vagno

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