Dopo quattro anni di odio reciproco, tre anni e mezzo di massacri reciproci, dopo 635.000 soldati italiani morti (senza contare i morti francesi, inglesi, americani, polacchi, serbi, sul fronte italiano) e 1.100.000 austro-ungheresi, un po’ più di un anno dopo il disastro di Caporetto e qualche giorno dopo l’ultima offensiva vittoriosa italiana di Vittorio Veneto, il 3 novembre ad Abano, a villa Giusti, alle 15, era firmato l’armistizio tra l’Italia e l’impero Austro-Ungherese, effettivo a partire del 4 novembre 1918, giorno che per l’Italia fu la fine della guerra, una settimana prima dei suoi alleati e dei loro nemici.
La propaganda dell’odio
Una guerra senza pietà dove il peggio dell’anima umana si è scatenato – gli animali non odiano ammazzano solo per mangiare o difendersi di esserlo – come ben descritto da Ernst Jünger nel suo libro “La battaglia come esperienza interiore”:
Nella battaglia, che spoglia l’uomo di ogni convenzione, come dei cenci rattoppati un mendicante, viene a galla la bestia, mostro misterioso riemerso dagli abissi dell’anima […] Quando ogni pensiero, quando ogni atto si riconduce a una formula, occorre che i sentimenti stessi regrediscano e si confondano, si conformino alla spaventosa semplicità dell’obiettivo: annientare l’avversario […] Di sete di sangue fra gli altri. È oltre l’orrore, l’altro flusso che annega il combattente nella sua schiuma, in un massacro di onde rosse: l’ebbrezza, la sete del sangue, quando i sussultanti turbini della distruzionepesano sul campo del furore. Per strano che sia da capire per chi non si è mai battuto per rimanere in vita: la visione dell’avversario procura, oltre a un colmo di orrore, la liberazione di una pressione gravosa e insopportabile. È la voluttà del sangue, che aleggia sopra la guerra come la rossa vela delle tempeste sull’albero della galera nera, e il cui illimitato slancio non è paragonabile che all’amore […].
Una guerra di sofferenze, di paura, di ordini stupidi, di offensive inutile, dove uomini vivevano nell’acqua o la neve, nel fango, nella merda, tra i corpi in decomposizione, tra i topi e i parassiti, dove la morte era il solo orizzonte e la compagna più fedele, dove gli uomini contavano meno del materiale, pupazzi nelle mani di ufficiali superiori focalizzati sull’offensiva a oltranza, senza pietà, dove gli soldati di entrambi le parte si riconoscevano come fratelli anche se nemici, sapendo di soffrire della stessa stupidità umana e dei stessi mali. Il pittore-soldato italiano Walter Giorelli ne da una piccola idea:
Ogni luogo è un sepolcro e la melma che insudiciagli stivali è un puzzolente amalgama di terra, feci, urina, frammenti d’ossa e resti organici d’ogni sorta. Al di là dei confini del filo spinato, irraggiungibili per i colpi dei cecchini, alcuni corpi insepolti mutano apparenza piano piano, attraversando tutti gli stadi di transizione tra la materia organica e la mota. I più recenti, ricoperti da una moltitudine di mosche, si disfano in colate colorate. L’odore della morte è soffocante.

Ma come dire questa guerra noi che non solo non l’abbiamo vissuta, ma facciamo fatica a ricordarsi del sonnambulismo e della stupidità di quelli che l’avevano voluta, dei nazionalismi infernali che non errano in grado di fermarla, noi che non siamo capaci di tirarne le lezioni?
Noi che non siamo neanche capaci di unire tutti i paesi combattenti – non basta riunire 12 capi di Stato maggiore dei paesi belligeranti come sarà il caso a Trieste il 4 Novembre – per creare una memoria collettiva e per riprendere, insieme e uniti il grido dei soldati esangui, alla fine della guerra: “mai più questo!”
A 100 anni dalla Prima guerra Mondiale, l’Europa riparte da quelle trincee.
Podcast della trasmissione “Caffè Europa” de Tiziana Di Simone, su Radio1 RAI con il capo di Stato maggiore Generale Claudio Graziano, lo storico Emilio Gentile e letture di lettere dal libro di Thierry Vissol “Toby dalla pace alla guerra 1914-1918” Donzelli, 2014:
https://www.raiplayradio.it/audio/2018/10/CAFF195137-EUROPA-3a5aefcd-df36-4820-97e7-395f7a6a5933.html